Azzone L Impresa PDF 23: The Ultimate Resource for Business Leaders and Consultants
- saepithernguper
- Aug 16, 2023
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Abbandonato dall'antipapa, che tornò pentito al servizio di Giovanni XXII e fiutando possibili rivolte in Toscana, in aprile Ludovico tornò in Lombardia ma giunto presso le rive del Po venne abbandonato da seicento balestrieri che si misero subito al servizio dei Visconti. Nel frattempo Azzone e Giovanni, pressati da Obizzo III d'Este tramite Beatrice, si erano adoperati sottobanco per una riconciliazione del pontefice, memori dell'arroganza e dell'avidità che caratterizzavano le discese in Italia dei re di Germania e ancor più della loro prigionia a Monza. Il 17 aprile inviarono cinquecento cavalieri al comando di Pinalla e Martino Aliprandi, nobili monzesi che riuscirono a farsi dare le chiavi della Porta de' Gradi e ad introdurvisi, costringendo il governatore Ludovico di Teck, insediatosi due settimane prima, a rifugiarsi nel castello. Qui il tedesco fu assediato grazie ad una serie di fortificazioni che lo isolavano dal resto della città.Il 21 aprile Ludovico, furioso per gli avvenimenti e per la nuova posizione dei Visconti verso il pontefice, indisse una dieta a Marcaria dove spiegò ai presenti la situazione, esortandoli a radunare un esercito per sottometterli. Volendosi assicurare la fedeltà dei monzesi, il 26 aprile Azzone inviò Boschino Mantegazza e Pagano Mandelli ad informare il popolo che l'imperatore stava marciando su Milano e Monza con un esercito che intendeva campare alle loro spalle e imporre altri tributi dopo quelli da cui erano stati oppressi dopo il suo ingresso occorso due anni prima; li pregava dunque di non riceverlo e seguire l'esempio dei milanesi che avevano deliberato tale risoluzione in un consiglio generale radunatosi pochi giorni prima. I monzesi si dissero pronti ad opporsi in ogni modo all'imperatore.Ludovico radunò a Cremona un esercito costituito da migliaia di fanti e duemila cavalieri. All'inizio di maggio giunse sotto le mura di Lodi ma non fu ricevuto, puntò quindi su Melegnano e poi su Monza. Luchino Visconti mosse alla volta di Melegnano ma giuntovi trovò che l'imperatore era già passato. L'esercito imperiale cercò di attaccare Monza da oriente, puntando a liberare il castello dall'assedio ma non riuscì a guadare il Lambro che era particolarmente gonfio e le cui acque non accennarono ad abbassarsi neppure nei giorni successivi. Su consiglio dei nobili milanesi contrari ai Visconti marciò sette miglia a nord sino ad Agliate dove vi era un ponte sul fiume, lo attraversò e tornò ad attaccare Monza da occidente. La città però non gli aprì le porte e si dovette ridurre ad assediare vanamente il castello per alcuni giorni, riuscendo solo a far fuggire Amorato della Torre, figlio di Guidone. Abbandonato il proposito di catturare Monza, mosse verso Milano che tuttavia risultava ancor meglio fortificata dato che Azzone aveva fatto costruire diverse bastie di legno ed oltre quaranta torri a difesa della Cerchia dei Navigli per poi farne innalzare il livello delle acque e si era assicurato la produzione di farina cintando i mulini fuori Porta Ticinese. L'imperatore si accampò il 21 maggio presso il ponte dell'Archetto, fuori da Porta Giovia ma l'11 giugno lo spostò davanti alla pusterla di Sant'Ambrogio e iniziò ad assediare la città. Cercò più volte di impossessarsi dei mulini di Porta Ticinese per affamare la città, ma senza esito favorevole. Il 19 giugno, abbandonato dalla maggior parte dei signori ghibellini che lo seguivano, con l'eccezione di Cangrande della Scala, si risolse ad abbandonar l'impresa e si ritirò a Pavia. Il 23 settembre Ludovico confermò il vicariato imperiale ad Azzone e revocò i privilegi e i feudi imperiali concessi nei due anni precedenti. In cambio Azzone gli avrebbe pagato 12.000 fiorini d'oro e altri mille al mese fino al suo ritorno in Germania, inoltre avrebbe mantenuto a sua disposizione duecento soldati tedeschi da inviare in soccorso dell'imperatore in caso di necessità. In dicembre Ludovico giunse a Trento e da lì tornò in Germania.[7]
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Nell'autunno del 1330 Giovanni I di Boemia, figlio di Enrico VII di Lussemburgo, cercò di portare avanti la causa di Ludovico il Bavaro per via diplomatica sia con il pontefice che con Azzone senza tuttavia ottenere nulla di rilevante. Decise di scendere in Italia con un esercito, portandosi a Trento dove indisse una dieta con tutti i signori della Lombardia. In seguito ricevette alcuni ambasciatori bresciani disposti a cedergli la signoria sulla città, abbandonando l'alleanza con Roberto d'Angiò, in cambio del suo aiuto contro i veronesi guidati da Mastino della Scala, che la stavano assediando. Giovanni ammonì i veronesi di abbandonare l'impresa e questi si ritirarono, poi a fine ottobre o fine dicembre si recò a Brescia seguito da settecento cavalieri. Molte altre città lombarde e toscane lo vollero loro sovrano e gli inviarono ambasciatori. Azzone, preoccupato per l'ennesima discesa di un re germanico, fece buon viso a cattivo gioco e dopo essersi consultato con il papa, andrò ad incontrarlo personalmente a Brescia dove gli offrì molti doni cercando di ingraziarselo poi lo accolse degnamente a Vimercate durante il suo viaggio alla volta di Como. Nella primavera del 1331 Giovanni fece scendere in Italia con un esercito anche il figlio Carlo e lo nominò vicario generale di tutti i suoi nuovi domini. Poi si diresse ad Avignone per consultarsi con il papa. I signori ghibellini sospettarono di una forte lega tra il re di Boemia, il pontefice e forse persino Roberto d'Angiò, che avrebbe messo in serio pericolo il loro potere. L'8 agosto Azzone Visconti, Mastino della Scala, Obizzo III d'Este, Ludovico I Gonzaga si riunirono a Castelbaldo e stabilirono una lega difensiva contro Giovanni. L'anno successivo si aggiunsero anche la guelfa Repubblica di Firenze, le città di Como e Novara e perfino il Regno di Napoli. La lega poteva inoltre contare sul supporto di Ludovico il Bavaro che stava muovendo guerra ai possedimenti del re di Boemia.[12]
Nell'aprile del 1337 Mastino II della Scala attaccò i veneziani. Azzone indisse un congresso a cui parteciparono i Gonzaga, gli Este e altri signori lombardi in cui si stabilì non solo di non offrirgli alcun aiuto ma di radunare un esercito per muovergli guerra. Il comando dei trecento cavalieri milanesi fu dato a Luchino Visconti che arrivò ad assediare Verona. Mastino lo sfidò alla battaglia campale e i due si accordarono per il 26 giugno.Poco prima della battaglia Luchino venne a sapere che i mercenari tedeschi presenti nel suo esercito intendevano tradirlo e consegnarlo al nemico e quando si venne a battaglia questi passarono dalla parte di Mastino costringendo il Visconti a ritirarsi a Mantova perdendo buona parte dei carriaggi. Se da una parte l'impresa di Verona fallì, dall'altra Azzone riuscì ad introdurre segretamente alcuni suoi soldati a Brescia che aprirono le porte della città facendo entrare il resto dell'esercito; in breve furono catturate la città vecchia e la nuova ma la possente rocca riuscì a resistere fino al 13 novembre. Il 29 settembre Azzone catturò Broni, sottraendola alla guarnigione al servizio di Roberto d'Angiò.[19]Nello stesso anno Giovanna Visconti di Gallura, figlia di Nino Visconti e ultima erede del Giudicato, vendette al signore di Milano i propri diritti su quella terra. Sua madre, Beatrice d'Este, aveva infatti sposato Galeazzo I Visconti, padre di Azzone. Dal momento che la signoria di Milano non era una potenza marittima e non era quindi in grado di difenderla, i discendenti di Azzone la vendettero a loro volta alla Corona d'Aragona.[20] 2ff7e9595c
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